«Quello sulla riforma della giustizia non sarà un referendum sul governo Meloni né uno scontro tra magistratura buona e politica cattiva»: non ha esitazioni Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, tra i più tenaci sostenitori del disegno di legge costituzionale che prevede la separazione delle carriere tra pm e giudici e che nei giorni scorsi ha ricevuto il via libera da parte della Camera. Un’autentica “rivoluzione” contro la quale, in attesa dell’ok definitivo da parte del Senato, si sono mobilitate sia l’Associazione nazionale magistrati sia le opposizioni parlamentari.
Senatore, il ministro Carlo Nordio ha rivolto alla magistratura un appello per evitare che il dibattito sulla riforma della giustizia si trasformi in una sorta di campagna elettorale. Ciononostante Anm e partiti di centrosinistra, a cominciare dal Pd, hanno avviato la raccolta delle firme in vista del referendum: che cosa ne pensa?
«La Costituzione disegna tutti i magistrati come autonomi e indipendenti e il giudice pure come terzo ed imparziale. Ciò vuol dire che il magistrato, per rispettare tali indicazioni, deve mantenere una certa misura nella gestione di sé e dei suoi comportamenti “esterni”. Invece assistiamo all’Anm che si reca dal Pd in audizione privata, fonda il comitato per il no al referendum e, non solo di fatto, fa squadra con i partiti di opposizione. Tutto ciò, al di là della ineleganza dei gesti, palesa una sorta di “nervosismo da riforma costituzionale”, una sorta di alterazione patologica dei parametri ai quali il magistrato dovrebbe attenersi, almeno in base al dettato della Costituzione, delle leggi, delle circolari del Csm e, soprattutto, dei chiari inviti alla moderazione da parte del presidente Mattarella».
Non crede che il nervosismo sia dettato da una riforma che viene percepita come punitiva nei confronti della magistratura?
«Non è affatto così. La riforma protegge innanzitutto il cittadino perché la terzietà del giudice, finalmente realizzata con la separazione delle carriere, è garanzia di “imparzialità rassicurante”, per dirla con Antonio Tajani. D’altra parte, volendo ricorrere a una metafora calcistica, non è assolutamente ammissibile l’idea che a dirigere una partita sia un arbitro originario della stessa città di una delle due squadre in campo. La riforma, però, protegge anche la stessa magistratura attraverso il sorteggio dei membri del Csm perché libera il magistrato dal giogo delle correnti. Con la riforma un giudice o un pm non avrà più necessità di appartenere a questa o a quella corrente per “fare carriera”. E, mi creda, sono tanti i magistrati che, raccomandando riserbo assoluto, ci chiedono di andare avanti sulla strada tracciata».
Lei parla di sorteggio: che cosa c’è di meritocratico in un sistema che affida la composizione del Csm al caso?
«Il sorteggio deriva da un’analisi clinica e pragmatica del fenomeno correntizio, reso di comune dominio grazie alle rivelazioni fatte dall’ex magistrato Luca Palamara. Il sorteggio è una sorta di “farmaco salvavita con effetti collaterali”, indispensabile per spezzare il rapporto tra Anm e Csm e così liberare la magistratura dalle “carriere dei predestinati”. E questa è un’ulteriore garanzia per il cittadino visto che, decidendo nomine decisive per la qualità delle scelte giudiziarie, il Csm incide inevitabilmente sulla vita del Paese».
Non c’era alternativa al sorteggio?
«Le correnti hanno un ruolo inaccettabile. Troppo forte era, ed è, la necessità di garantire un Csm finalmente libero dal loro peso, ingombrantissimo. E se nemmeno la riforma Cartabia è riuscita in questo intento, allora è naturale che al sorteggio non ci sia alternativa».
Un’altra obiezione che si muove alla riforma consiste nel rischio di configurare un quarto potere, quello dei pm, ancora più pervicace e invasivo. Persino giuristi del calibro di Alberto Cisterna e Nicolò Zanon ne hanno discusso.
«Inutile vedere fantasmi dove non ci sono. L’eventuale rafforzamento della figura del pm sarà comunque neutralizzato dalla crescita del giudice. E questo ci sta particolarmente a cuore, nell’ottica delle garanzie per il cittadino. Infatti è il giudice, non il pm, che adotta provvedimenti e sentenze. Poi c’è un altro tipo di obiezione: secondo qualcuno la separazione delle carriere non sarebbe necessaria perché gli indagati/imputati vengono prosciolti o assolti nel 47% dei casi. Allora io rispondo: chi ci dice che quella percentuale, senza contenuti tra l’altro, non possa aumentare dopo l’approvazione definitiva della riforma?».
Altra obiezione: perché il governo Meloni non ha colto l’occasione per inserire nella Costituzione la figura dell’avvocato, visto che quella del magistrato è già contemplata?
«Condivido questa necessità. Ma vi è una questione di metrica referendaria. In previsione del referendum si è scelto di non sottoporre troppi temi al giudizio dei cittadini, in modo tale che il voto espresso da questi ultimi fosse quanto più informato e consapevole possibile. Una proposta per inserire la figura dell’avvocato nella Costituzione già c’è e non è detto che non possa essere approvata in tempi rapidi».
Lei ha parlato di referendum: non teme che questa consultazione possa risolversi in uno scontro frontale con la magistratura o in un voto capace di travolgere il governo Meloni come fu per Renzi nel 2016?
«Non sarà né l’uno né l’altro. Innanzitutto perché l’oggetto è una riforma culturale e non politica, alla quale hanno peraltro contribuito diversi settori dell’opposizione parlamentare. D’altra parte i padri di questa riforma sono Matteotti, Calamandrei, Chiaromonte, Terracini, Moro e Falcone: tutti sostenitori della separazione delle carriere, indipendentemente dalle appartenenze. E poi mi consenta di aggiungere un elemento».
Prego.
«Il governo Meloni tiene al referendum più dell’opposizione. Perché, attraverso il voto, il cittadino si esprimerà di fatto su una serie di quesiti: ti senti più protetto da un Csm con o senza correnti? Ti reputi più tutelato se pm e giudici seguono percorsi differenti? Sicché è inutile trasformare il referendum in agone politico o, peggio, in uno scontro con la magistratura che nessuno di noi vuole. Faremo in modo che questo non accada».
Il dibattito sulla riforma si sviluppa di pari passo con l’inchiesta sull’urbanistica a Milano, dalla quale emerge la tendenza di certi magistrati a emettere giudizi morali: basterà la riforma a ripristinare la necessaria cultura della giurisdizione?
«Non esprimo giudizi specifici, non avendo letto gli atti. Nel caso di Milano, però, emerge un aspetto patologico, utile per confermare la necessità della nostra riforma: la tendenza del gip ad appiattirsi sulle posizioni del pm. E l’intervento del Riesame ristabilisce la fisiologia procedimentale. Per il resto, in generale, certa magistratura, cioè quella più correntizia, si atteggia spesso a correttore etico della volontà popolare, del consenso generale e democratico. Questo è inaccettabile. L’articolo 101 della Costituzione è chiarissimo: il Parlamento scrive le leggi, la magistratura le applica. Punto».