In Italia i numeri non mentono (quasi) mai, soprattutto quando parlano di diseguaglianza. Secondo l’Istat, un cittadino del Nord può contare su un reddito medio annuo di circa 25 mila euro, mentre al Sud si scende a poco più di 17 mila: una forbice del 30% che non è solo economica, ma sociale, culturale, di opportunità.
Lì dove le famiglie hanno meno potere d’acquisto, anche i servizi sociali arrancano, e la rete di protezione si fa più sottile, quasi inesistente. E non si parla di dettagli marginali: i Comuni meridionali spendono in media 72 euro a persona per il welfare locale contro i 197 euro del Nord-Est. Significa che un bambino che nasce a Reggio Calabria vale, in termini di risorse pubbliche, meno della metà di un coetaneo che cresce a Trento o Bologna.
Le cifre più crude arrivano se si guardano le categorie fragili: per ogni minore del Sud i Comuni spendono 155 euro in meno rispetto al Centro-Nord, per ogni persona con disabilità la differenza sale a 917 euro, e persino per gli anziani – che al Sud sono spesso più poveri e soli – mancano circa 49 euro a testa rispetto al resto del Paese. Briciole al confronto con i bisogni.
E la sanità? Anche qui, il solito schema: nel 2020 al Sud la spesa sanitaria pro capite è stata di 2.046 euro l’anno, circa 80 euro in meno del Nord. Una cifra che può sembrare contenuta, ma che si traduce in ospedali più vecchi, liste d’attesa più lunghe, meno medici e strutture per chi ha più bisogno. E speranza di vita minore. Qualche esempio di disparità eclatante: In Calabria la spesa comunale pro capite per i servizi sociali è attorno a 38 euro/abitante, mentre in una regione come la Provincia Autonoma di Bolzano supera i 600 euro/abitante. Nei Comuni con oltre 50.000 abitanti, nel Sud la spesa sociale pro capite è mediamente di 102 euro/abitante, mentre nei Comuni simili a Nord-Est raggiunge livelli ben più alti (oltre 200-250 euro/abitante nei casi migliori.
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Nei Comuni più piccoli del Sud (fino a 2.000 abitanti) la spesa è spesso tra i 51 euro/abitante e meno, mentre in Comuni piccoli del Nord-Est spesso si superano i 200 euro/abitante per servizi sociali comparabili. Quasi il 30% dei Comuni del Mezzogiorno non offre il servizio di assistenza domiciliare per anziani in condizioni di fragilità. Al Centro è meno del 15%, al Nord sotto il 10%.
I numeri dell’Istat – sia chiaro – vorrebbero essere numeri neutri. Ma parlano. E fotografano una realtà che è sotto gli occhi di tutti e che non tutti vogliono vedere: negano il principio di uguaglianza universale nei diritti sociali: come assistenza all’infanzia, cura agli anziani fragili, servizi per diversamente abili. Se l’accesso a questi servizi dipende da quanto una Regione può spendere, diventa un lusso nascere o vivere in Nord-Est o simili. Non è solo questione di soldi, ma di relazioni con lo Stato, di fiducia, di coesione. Le famiglie del Sud (e dei territori più marginalizzati) percepiranno – con giusta ragione – che non sono cittadini “di serie A”. Come dargli torto?
Eppure questi divari non sarebbero inevitabili. Possono sembrare dati incancellabili, ma le disuguaglianze non sono destinate a restare. Alcune leve potrebbero fare la differenza: redistribuzione nazionale effettiva, non solo retorica; trasferimenti statali tarati per compensare i divari, non solo per “autonomia”. Fondi che non si disperdano in inefficienze. Standard minimi nazionali per i servizi essenziali: assicurare che tutti i cittadini, ovunque vivano, abbiano almeno assistenza domiciliare per anziani, servizi per disabili, misure per la povertà, infanzia. Miglioramento amministrativo e trasparenza al Sud: investimenti in competenze, infrastrutture digitali e burocratiche, in modo che le risorse non restino inutilizzate o mal spese.
In questo scenario già segnato da una spaccatura storica, qualcuno – leggasi, ad esempio, il ministro agli Affari regionali, Roberto Calderoli -non si arrende e vorrebbe spingere sull’autonomia differenziata. Come se non bastassero già queste differenziazioni di fatto. Perché se le regioni più ricche avranno più margini per gestire le proprie risorse, quelle povere resteranno ancora più indietro, condannate a inseguire senza strumenti adeguati. Non è difficile immaginare come andrà a finire: un’Italia a due velocità, dove il luogo di nascita decide l’accesso ai diritti fondamentali. La Costituzione parla chiaro: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. I numeri dell’Istat ci raccontano altro. Ed è un pugno nello stomaco.