Rimane alta la tensione in Europa, dopo i ripetuti sconfinamenti aerei militari russi che nei giorni scorsi hanno fatto scattare l’allarme in vari Paesi della Nato (Polonia, Romania, Estonia). Il premier polacco Donald Tusk ha affermato ieri che Varsavia resta pronta ad «abbattere qualunque oggetto volante che violi il proprio territorio», ma ha sottolineato come tali decisioni debbano essere ben ponderate «innescare una fase molto acuta del conflitto».
«La Russia è pronta a rispondere a qualsiasi minaccia strategica, non solo a parole, ma con misure tecnico-militari», ha messo in guardia il presidente russo Vladimir Putin pur ribadendo che la Federazione Russa non cerchi una corsa agli armamenti con gli Stati Uniti. «La situazione nella sfera della stabilità strategica continua a deteriorarsi. Le azioni distruttive dell’Occidente hanno gravemente minato le basi del dialogo tra paesi con armi nucleari», ha aggiunto.
Si riaccende il rischio di conflitto Russia-Nato
Sconfinamenti aerei, minacce di abbattimento, rincorsa nucleare: il rapido deteriorarsi della situazione internazionale nelle ultime settimane, a partire da una situazione già molto compromessa, ha riacceso l’attenzione sulla possibilità che un conflitto all’orizzonte tra Nato e Russia possa non essere una prospettiva così impensabile. Ne è convinto il professor Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.): «Sostengo da anni che una guerra tra alcuni Paesi europei e la Russia nel prossimo futuro, stando l’attuale situazione, sia pressoché inevitabile. Purtroppo in Italia si è creata una situazione pericolosa, un gioco di tifoserie che squalifica chi cerca di mettere in guarda da questa deriva come qualcuno a cui piaccia la guerra. Ma dire che ci sono nuvole all’orizzonte non significa che faccia piacere la pioggia», spiega l’esperto.
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Condivide le preoccupazioni anche il Generale Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare, che ricorda il recente paragone del presidente della repubblica Sergio Mattarella con il 1914: «Ha ragione il capo dello Stato, siamo come su un crinale pericoloso, pronti a cadere giù. Sembra quasi non si perda occasione per innalzare la tensione internazionale e può bastare un nonnulla perché accada l’irreparabile. Purtroppo non sembra che vi siano persone sagge all’orizzonte, almeno tra coloro che potrebbero prendere la decisione di far precipitare la situazione».
Più cauto invece Giorgio Cella, analista esperto di mondo russo e docente presso l’Università Cattolica di Milano: «È difficile pensare a uno scontro totale tra Federazione Russa e Alleanza atlantica ora, anche per la sproporzione militare tra Nato e Russia. Teniamo anche conto che la Russia arriva da tre anni dove sì, ha rodato la sua macchina bellica e raggiunto una economia di guerra, ma ha anche subito forti perdite sul piano umano, di soldati, e finanziari per sostenere i costi di tre anni e mezzo di guerra, che presto divertano quattro».
Mosca sarà costretta al ridimensionamento militare
Un aspetto – quello militare – che Tricarico condivide, nella misura in cui Mosca a suo giudizio dovrà prima o poi fare i conti col ridimensionamento bellico e strategico derivato dall’impegno profuso in Donbas: «Sinceramente mi convince molto poco la volontà russa di aggredire qualcuno che non sia un Paese minore, più alla sua portata. La guerra sta provando non poco le forze di Mosca mentre Europea e Nato possono ancora contare su garanzie militari intatte, non credo che Putin vorrà mettersi in un trappola così, non avrebbe scampo. Semmai punterà a riprendere le file di quelle zone di influenza tradizionale dove ha perso spazio negli ultimi anni, dal Medio Oriente all’Africa».
Ma per Margelletti sottovalutare la strategia russa rappresenta un rischio immenso: «Il Cremlino persegue una strategia non condivisibile ma molto chiara, netta e intelligente in tal senso. Ciò a cui Putin sta mirando è la resa senza combattimento. In altre parole, l’idea di perseguire scientemente l’aumento della tensione internazionale, l’escalation, nella convinzione che a un certo punto i Paesi europei preferiranno arrendersi piuttosto che combattere, per diventare il bancomat di Mosca.
Lo Zar conta su un sentimento diffuso e cioè che gli europei paiono molto più preoccupati a difendere ciò che abbiamo piuttosto che a difendere ciò che siamo». Sulla funzione “provocatoria” della politica putiniana gli fa eco Cella, secondo cui «il Cremlino può usare tali dinamiche per testare non solo le capacità militari dell’occidente e della Nato, ma soprattutto per vedere le reazioni politiche dei vari Stati Ue, dei suoi protagonisti politici e delle opinioni pubbliche europee». Per l’analista tale questione rimane strettamente collegata al tema del riarmo, con la crisi ucraina predellino di lancio di «nuova forza militare europea, che stenta però a partire e a formarsi in una realtà geopolitica con una politica estera comune, anche questa per ora solo un miraggio».
La Difesa europea stenta ancora a partire
Sull’assetto desolante della Difesa europea concorda Tricarico: Sul tema siamo in tremendo ritardo ma nessuno ne parla più, prima se ne è straparlato ma ora l’argomento è stato messo in seconda linea dai riarmi nazionali». Una “fuga” dal tema della Difesa comune che per Margelletti si spiega soprattutto con le resistenze alla delega politico-militare e le difficoltà a definire cosa si intenda quando si parla di Difesa comune: «Nessuno capisce realmente cosa significhi, stiamo da settant’anni nella Nato, le forze armate europee sono già integrate fra loro. Ciò che manca davvero non è la componente militare ma politica, una governance comune, ma non sembra al momento che ci sia alcun desiderio reale di un’Europa forte».
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Gli fa eco Cella: «L’Unione europea è oggi ancora sprovvista di una visione unitaria sul piano militare e, prima di ciò, di visione sulla politica internazionale: vorrei ricordare che la seconda dimensione è propedeutica alla prima». Per il docente dell’UniCatt un elemento saranno i risultati delle elezioni in alcuni Stati chiave dell’Unione, come Francia e Germania, nel caso in cui prevalgano forze populiste più accomodanti con Mosca. «Difficile pensare a un generico ritorno allo stato delle relazioni pre guerra con Mosca – spiega Cella – ma non stupirebbe se, alcuni Stati della Ue, anche alla luce della storia dei loro rapporti bilaterali, riprendessero saldi rapporti con la Federazione Russa».
Una prospettiva infausta, a cui il Cremlino sembra mirare apertamente e per conseguire la quale ha messo in campo in questi anni tutti gli strumenti della cosiddetta “guerra grigia” o “guerra ibrida”, cioè metodi non tradizionali per condurre le ostilità. Lo conferma Margelletti senza alcuna esitazione: «la Grande Guerra Grigia è già in corso, basta farsi un giro negli aeroporti europei in questi giorni. Il conflitto ibrido serve a mandare un messaggio ai cittadini e ai governi europei: ‘Guardate che siamo in grado di stravolgere la vostra quotidianità’. Del resto, in Nepal hanno rovesciato un governo perché hanno chiuso i social.
Alzando lo scontro ibrido i russi evidenziano le fragilità delle società europee e inducono i cittadini a rifuggire a un’eventuale aumento delle ostilità nei confronti di Mosca». Più prudente Cella, secondo cui il ricorso agli strumenti ibridi sembra prefigurare uno scenario in cui lo scontro tra le parti possa sublimare in un conflitto indiretto: «Un possibile orizzonte è una riproposizione di uno scenario in stile guerra fredda, ove ci si astiene da grandi confronti militari diretti, e dove invece conflitti protratti e operazioni ibride di disturbo, che siano cibernetiche o operazioni dei servizi segreti, la facciano da padrone».