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Nazioni Unite, al via l’Assemblea Generale. Il momento della Palestina

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La “settimana di alto livello” dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha aperto ieri i lavori con il tema che più di tutti sta attualmente tenendo banco negli affari globali: la tragedia di Gaza e del popolo palestinese. Lo ha fatto con la “Conferenza internazionale di alto livello per la risoluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati”, l’iniziativa perorata da Francia e Arabia Saudita avente come scopo quello di stabilire un percorso concreto e irreversibile verso la creazione di uno Stato palestinese sovrano che coesista pacificamente con Israele, implementando così con quasi un secolo di colpevole ritardo la “soluzione a due Stati”.

La conferenza, boicottata sia da Israele che dagli Stati Uniti, rappresenta il culmine di un processo iniziato mesi fa con l’adozione della risoluzione dell’Assemblea Generale che ha mandato ai due co-presidenti, Francia e Arabia Saudita, di organizzare questo vertice. L’evento si basa sulla “Dichiarazione di New York”, approvata lo scorso 12 settembre con 142 voti favorevoli su 193 membri dell’Onu. La Dichiarazione richiede la fine immediata della guerra a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi, lo scambio di prigionieri palestinesi, il ritiro completo delle forze israeliane da Gaza e la consegna immediata su larga scala di aiuti umanitari.

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Inoltre, essa richiede l’unificazione di Gaza con la Cisgiordania come parte integrante di uno Stato palestinese, senza occupazione, assedio o riduzione territoriale, infine, essa condanna gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e chiede il disarmo del gruppo terroristico. Durante i lavori della Conferenza franco-saudita, otto gruppi di lavoro tematici hanno esaminato diversi aspetti della soluzione a due Stati, dall’aspetto securitario a quello economico, dalla governance palestinese all’integrazione regionale. Come già ampiamente annunciato, il Presidente francese Emmanuel Macron, presente alla Conferenza, ha infine formalmente riconosciuto lo Stato di Palestina entro i confini del 1967.

Francia e Arabia Saudita sperano nei riconoscimenti

Non è stato che l’ultimo in ordine temporale di una lunga serie di leader occidentali che hanno deciso di sfruttare l’inizio della “settimana di alto livello” dell’Onu per compiere questo storico passo. Domenica, infatti, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo hanno formalmente riconosciuto lo Stato palestinese, seguiti lunedì da Malta, Belgio e Lussemburgo, portando così a 149 il numero totale di nazioni che riconoscono la Palestina su 193 membri delle Nazioni Unite. La speranza di Francia e Arabia Saudita è che altri Paesi seguano questo esempio durante i lavori dell’Assemblea Generale, che continueranno fino al 30 settembre. Fra essi certamente non vi saranno Italia e Germania, come ripetutamente dichiarato dai rispettivi leader.

Questi riconoscimenti rappresentano una svolta diplomatica significativa, considerando che Regno Unito e Canada sono i primi membri del G7 a compiere questo passo. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha dichiarato che il riconoscimento servirà a «riaccendere la speranza di pace tra palestinesi e israeliani e promuovere una soluzione a due Stati». Com’era logico aspettarsi, questa nuova ondata di riconoscimenti ha scatenato la reazione israeliana.

La reazione israeliana

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha definito le decisioni dei leader occidentali «un enorme premio al terrorismo» e ha ribadito che «uno Stato palestinese non verrà mai stabilito a ovest del Giordano». Netanyahu si recherà a New York per partecipare all’Assemblea Generale, dove pronuncerà un discorso e terrà colloqui cruciali con il presidente americano Donald Trump il 29 settembre.

Questo incontro alla Casa Bianca potrebbe risultare determinante per definire la risposta israeliana ai riconoscimenti della Palestina. Secondo fonti diplomatiche, il governo israeliano sta seriamente valutando l’annessione di parti della Cisgiordania occupata come rappresaglia, con alcuni funzionari che sostengono che l’amministrazione Trump non si opporrebbe a tale mossa data la sua irritazione per i riconoscimenti occidentali della Palestina.Parallelamente, anche i leader dei Paesi arabi avranno colloqui con Trump durante la settimana dell’Assemblea Generale.

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Il Presidente americano ha pianificato per oggi un incontro con un gruppo selezionato di leader arabi e musulmani, tra cui i dirigenti di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto, Giordania e Turchia. L’obiettivo dichiarato è discutere modi per porre fine alla guerra di Gaza e coinvolgere questi Paesi in un piano post-bellico che preveda l’invio di truppe per una forza di stabilizzazione che sostituisca l’esercito israeliano.Trump terrà anche un incontro separato con i leader di Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Oman, Bahrein e Kuwait, per affrontare le preoccupazioni legate al primo attacco israeliano mai condotto contro uno dei Paesi del Golfo, quello contro i leader di Hamas in Qatar.

I leader arabi dovrebbero chiedere a Trump di fare pressioni su Netanyahu per porre fine alla guerra di Gaza e astenersi dall’annettere parti della Cisgiordania, con gli Emirati che hanno già fatto sapere alla Casa Bianca che un’eventuale annessione israeliana potrebbe portare al collasso degli Accordi di Abramo, l’eredità diplomatica più importante del primo mandato di Trump in Medio Oriente.

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