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Maurizio Rebuzzini morto, giallo a Milano sulla fine del fotografo

Trovato da uno dei due figli sul ballatoio del suo studio: morto Maurizio Rebuzzini, 74 anni, aveva segni di strangolamento: si indaga in ambito familiare


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Filippo Rebuzzini non crede che suo padre possa essere stato ucciso. «Era una persona buona, un lavoratore, non litigava mai con nessuno». Ma i vicini di casa e gli amici ne parlano come di un “uomo sereno”, per cui non prendono in considerazione l’idea che volesse suicidarsi. Dallo studio, comunque, non manca nulla, per cui anche la possibilità di una rapina finita male sembra esclusa. Come detto, uno dei due figli del fotografo Maurizio Rebuzzini, quello che dice di averlo trovato agonizzante sul pianerottolo dello studio, ha respinto, con forza, l’ipotesi che suo padre possa essere stato assassinato.

Ma è questa la pista che la squadra mobile di Milano, diretta da Alfonso Iadevaia, sta tenendo in considerazione per la morte, in circostanze perlomeno sospette, del fotografo e giornalista, arrivato in ospedale in fin di vita con delle ecchimosi sul collo. Una pista che porta dritto all’ambiente familiare della vittima, in virtù di una possibile lite per un vecchio dissidio al termine della quale il 74enne sarebbe stato aggredito. Indagini in corso, bocche cucite. Non si esclude ancora neanche l’ipotesi di una rapina finita male, tantomeno è stata del tutto scartata la possibilità che il critico abbia tentato di suicidarsi. La Scientifica sta analizzando corde e fili trovate sul pianerottolo del condominio e nello studio.

Settantaquattro anni, famoso nell’ambiente per le sue valutazioni mai scontate sulla cultura visiva e delle immagini, fondatore e direttore della rivista Fotographia, era stato docente di Storia della Fotografia all’Università Cattolica, voce autorevole del settore da oltre mezzo secolo, Rebuzzini aveva uno studio in via Zuretti a Milano, non distante dai binari della Stazione Centrale. Una zona di magazzini e rimesse, non più sicura di altre vie del capoluogo lombardo, ormai in testa alla classifica italiana delle città più esposte al crimine comune e agli assalti delle gang.

Lo studio, dunque, al civico 2/A di via Zuretti, era la seconda casa di Rebuzzini. Lì passava le giornate a lavorare, riflettere, scrivere, osservare. Quelle ore che però, mercoledì, sono diventate troppe. Tanto che il figlio, che vive non distante da lì, ha raccontato di essersi preoccupato perché il padre non rispondeva al telefono e di essere andato a controllare che andasse tutto bene. E così, ha poi dichiarato alla polizia, ha trovato il genitore in terra, sul ballatoio del condominio, privo di sensi. Vicino al corpo, una chiazza di sangue. Alle 18.40 ha chiamato i soccorsi; il fotografo, incosciente, è stato trasportato all’ospedale Fatebenefratelli. Poche ore dopo, è morto in conseguenza a un arresto cardiocircolatorio.

Sul collo di Rebuzzini c’erano dei lividi. Segni che hanno spinto la Procura di Milano ad aprire un fascicolo per omicidio con l’ipotesi che possa essere stato strangolato. Ma da chi? E perché? Tutti lo descrivono come un uomo tranquillo, una figura incline all’osservazione, come s’evince dal cartello che campeggia all’ingresso dello studio “Gabinetto delle curiosità, gabinetto delle meraviglie su base fotografica per incontrare quanto qui riunito da un clown che fa raccolta di attimi”.

Una sintesi leggera di se stesso, che oggi suona come un epitaffio autobiografico visto che quel ballatoio dove Rebuzzini si fermava a fumare il sigaro è diventato la sua tomba. Eppure anche la pista della rapina finita male non pare suffragata da evidenze valide. A occhio e croce, dallo studio pare non manchi nulla. Quando è arrivata la polizia, la porta era aperta. Soldi e cellulare al loro posto. Un vicino ha detto di aver sentito delle urla intorno alle 18. La polizia dovrà stabilire se erano le richieste d’aiuto della vittima o quelle del figlio che dice di averlo trovato per terra agonizzante.

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