«La separazione delle carriere? Utile, ma è solo una riforma preliminare. L’inchiesta sull’urbanistica milanese dimostra che l’Italia ha bisogno innanzitutto della cancellazione di quelle norme etico-moralistiche che l’hanno fatta sprofondare in un clima medievale di sfiducia e sospetto»: Giovanni Toti, per nove anni presidente della Regione Liguria, non ha dubbi nel commentare le motivazioni con cui il Tribunale della libertà ha demolito la tesi accusatoria della Procura di Milano nei confronti di Alessandro Scandurra.
Secondo il Riesame non c’è prova del patto corruttivo contestato al membro della Commissione comunale per il paesaggio: si fa troppo presto a parlare di corruzione?
«Il Riesame dice una cosa molto importante: i fatti devono essere comprovati da elementi certi, non da atmosfere, illazioni o “collage di idee”».
Quindi la Procura di Milano è stata superficiale?
«Diciamo che in Italia si è diffusa l’abitudine di processare sistemi e situazioni anziché accertare rigorosamente la sussistenza di eventuali reati. In altre parole, si tende a perseguire e punire atteggiamenti che possono non piacere al magistrato o a parte dell’opinione pubblica, ma che non hanno necessariamente rilevanza penale. Ulteriore prova ne sono gli atti giuridici scritti con un linguaggio moraleggiante che non ha nulla a che vedere con il diritto».
È colpa soltanto di qualche magistrato?
«Non solo di quale magistrato che “dipinge affreschi” inserendovi qualche ipotesi di reato, ma anche di un legislatore che ha fatto in modo che persino l’area semantica del diritto penale toccasse la sfera morale».
Il Riesame definisce addirittura “svilenti” le tesi della Procura: possibile che ci sia una divaricazione tanto netta tra le tesi dell’uno e dell’altro magistrato?
«Ben venga una simile divaricazione. Mi preoccuperei ancora di più se non ci fosse, soprattutto a proposito di vicende complesse come quella di Milano. Ma, ripeto, il problema è un altro e cioè l’ipertrofia di un diritto penale che oggi presenta connotati etici e moralistici, con tutte le conseguenze che ne possono derivare».
Una di queste conseguenze è la paralisi delle pubbliche amministrazioni, anche nel caso di Milano…
«Milano è il motore dell’economia nazionale. Parliamo di una città che genera 400 miliardi di pil, quindi buona parte della ricchezza nazionale, attrae capitali esteri e presenta uno skyline europeo di cui dovremmo andare tutti orgogliosi. Questi sono meriti da applaudire e non colpe di un presunto “sistema” da demolire. La politica cittadina, negli ultimi decenni, ha fatto più bene che male e per questo io ho difeso il cosiddetto “Sistema Milano” più di quanto non abbiano fatto il sindaco Sala e la sua maggioranza. Invece la Procura ha inteso fare dell’amministrazione la sentina di tutti i mali».
Tutto ciò non rischia di alimentare la sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti della giustizia?
«L’opinione pubblica sarà anche smarrita, ma non mi sembra che, nel corso del tempo, abbia invocato la riforma della giustizia con particolare convinzione. Anzi, su questo fronte si è dimostrata piuttosto inerte. Ma d’altra parte, si sa, la giustizia è un tema che non interessa fino a quando non se ne viene toccati».
E poi c’è la politica che ne fa un uso strumentale…
«Certo, la politica usa la giustizia a seconda delle convenienze. Ma la responsabilità maggiore resta quella di un legislatore che produce leggi scritte male e in modo evidentemente populistico».
La separazione delle carriere tra pm e giudici è utile a correggere certe storture?
«Quella è una riforma preliminare, propedeutica, organizzativa. Ciò che serve è l’abrogazione di tutta quella legislazione etico-moralistica che, dai tempi del governo Monti a quelli del ministro Bonafede, ha riportato l’Italia al Medioevo diffondendo un clima di sfiducia e di sospetto».
Quali norme contesta, in particolare?
«Le leggi ambientali, per esempio, sono ormai tutte penali. La pubblica amministrazione è trattata come un condominio della criminalità organizzata. E poi si parla tanto di voto di scambio dimenticando che la democrazia si regge su proprio su uno scambio, perché ogni elettore si esprime a sostegno di chi è in grado di garantire i propri legittimi interessi».
Come se ne esce?
«Occorre un nuovo umanesimo giuridico. Nel Medioevo tutti erano considerati malfattori o streghe. Invece, oggi, servono coraggio e fiducia. Il che vuol dire anche abrogare le figure di reato che non sortiscono altro effetto se non quello di bloccare la pubblica amministrazione e devastare vite private e carriere delle persone. In questo modo si restituirebbe agli elettori il potere di mandare a casa i pubblici amministratori incapaci. Se i grattacieli di Milano non piacciono o la città è percepita come per soli ricchi, gli elettori possono e devono mandare a casa il sindaco. Che non necessariamente va arrestato, processaro e condannato».