Le strade dei Romani, le “consolari”, sono considerate tra le realizzazioni più gloriose e durature di Roma Antica. Dalla Scozia fino al deserto del Sahara, gli oltre 120 mila chilometri della rete viaria romana hanno lasciato un segno inconfondibile, dando vita ad un reticolo tuttora in uso. Le strade romane, nate per motivi militari prima, consentendo un veloce spostamento di truppe e di merci tra posti lontanissimi tra loro, e poi per assicurare le comunicazioni rapide e sicure nell’ampio impero creatosi, sono il frutto di un’ingegneria molto curata, calibrata sulla capacità portante del terreno di supporto e sulla qualità e tenuta dei materiali che le costituiscono. Lo testimonia la loro longevità, avendo per secoli, anche dopo la rovinosa caduta dell’impero romano, continuato a svolgere il loro scopo, e da rotte ad indicare il cammino a viandanti, pellegrini e commercianti.
Sebbene, i primi costruttori di strade sul suolo italico furono gli Etruschi, tuttavia essi si limitarono a usare il tufo compatto, mentre i Romani prediligevano la selce, molto più dura e resistente, il cosiddetto basolato romano.
La strada modello, anche se non è stata la prima, è la Via Appia, un asse di 90 chilometri da Roma a Capua, poi estesa fino a Brindisi, costruita nel 312 a.c. dal censore Appio Claudio Cieco. La sua funzione è stata essenziale per l’affermazione del popolo romano che grazie a questo struttura di comunicazione è riuscito ad imporre un “ordine” sulla barbarie. Un lavoro compiuto su territori sterminati, attraverso lavori di spianamento, tagli di montagne, costruzioni di gallerie e imponenti opere di bonifica. Un sistema viabile ben organizzato e perfettamente mantenuto per il controllo dei territori, ma anche per il trasporto delle merci.
La Via Traiana, finanziata da Traiano, rappresentava il percorso più breve per il Medio Oriente, e consentì ai Romani di conoscere e coltivare la passione per il pepe, leggero e facilmente trasportabile. Una spezia così importante che, quando nel 408 d.C. i Goti fecero la loro comparsa davanti alle porte di Roma, chiesero tremila libbre di pepe prima di accettare di trattare con i Romani.
Da Rimini a Piacenza, tagliando le città con perfezione chirurgica, si estende ancora oggi la Via Emilia, un rettifilo di circa 250 chilometri. Mentre, La Salaria e La Flaminia continuano a riflettersi sui fiumi e a scavalcare le gole dell’Appenino. Strade che furono chiamate secondo i nomi di coloro che ne proponevano la costruzione, o le tracciavano, o ne finanziavano i lavori; oppure presero i nomi delle città o dei luoghi ai quali erano dirette, come testimoniano le numerose vie salarie, o strade del sale, di rapido collegamento con il mare per l’approvvigionamento del sale, bene prezioso per la conservazione del cibo.
Ma, la costruzione delle strade era anche un atto politico. Secondo Cicerone, il restauro della Flaminia da attribuire ad un certo Termo ne favorì la carriera politica, così come, a parere di Plutarco, gli sforzi e la generosità elargita da Cesare nei confronti dell’Appia sono da attribuire alla sua ambizione politica. Era anche prevista la nomina di un curatore per garantire la manutenzione delle strade: a Giulio Cesare venne assegnata la cura della Via Appia Antica, mentre l’Imperatore Augusto dopo la sua vittoria contro Marco Antonio, si assunse l’impegno di riparare i danni causati da un secolo di guerre civili. La viabilità romana era dunque un sicuro strumento per unificare i territori, salvaguardare le frontiere e giungere alla costruzione di un grande impero.
Insomma, le strade romane non erano solo mezzi di trasporto, ma anche fili conduttori di sviluppo economico. Così i Romani ci hanno lasciato in eredità non solo pietre e strade, ma un concetto fondamentale: investire nelle infrastrutture è investire nel futuro.
Nel periodo medioevale le strade diventano anche percorsi per la spiritualità. Ebbero grande sviluppo le vie di pellegrinaggio fra le quali ricordiamo le peregrinationes maiores con destinazione Roma e Gerusalemme, e molti di questi percorsi coincidevano con le antiche strade consolari romane, soprattutto la Claudia Augusta. Il percorso più celebre, con direzione Roma, era la Via Francigena che, partendo da Canterbury attraversava le Alpi presso il Gran San Bernardo, e giungeva alla città eterna. Lo testimonia l’antico adagio che recita “Tutte le strade portano a Roma” che inizia a diffondersi nel Medioevo. Un’espressione figurata che, sebbene nella cultura popolare ha il merito di esaltare l’efficacia e l’imponenza imperitura del sistema viario romano rendendo l’impero raggiungibile da ogni angolo a partire da Roma, in realtà è stata coniata dal teologo francese Alano di Lille, con l’intento di mettere in risalto Roma come epicentro della cristianità.
Negli ultimi secoli dell’Impero romano, compare il termine “tratturo” frutto della deformazione fonetica del termine latino tractoria, che designava il privilegio dell’uso gratuito del suolo di proprietà dello stato esteso ai pastori della transumanza.
Antiche strade erbose che univano l’Appennino abruzzese al Tavoliere delle Puglie, i tratturi erano percorsi viari particolari adibiti alla transumanza, un sistema che trova la sua massima affermazione nel XV sec. con gli Aragonesi che regolamentano queste vie creando una grande rete di Regi Tratturi , con una larghezza standard di 111 metri.
L’arteria principale era data dal Tratturo Magno (o del Re) che collegava L’Aquila a Foggia. Lungo ben 244 km ha cambiato volto nel corso del tempo, per l’introduzione di rimboschimenti e coltivazioni agrarie. “Settembre, andiamo. É tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare […] E vanno pel tratturo antico al piano”. Così Gabriele D’Annunzio disegna le vie della transumanza, un viaggio intriso di fatica che i pastori d’Abruzzo compivano a metà settembre per dar foraggio al gregge.
Con il dissolvimento dell’Impero romano si assiste all’abbandono di questo ricco patrimonio di strade romane, lasciate senza manutenzione e in uno stato di progressivo degrado. In seguito, superato il periodo di crisi delle invasioni barbariche e grazie alla nascita dell’Impero carolingio e alla ripresa economica e demografica dell’Occidente, le strade cadute in disuso nei secoli precedenti ritornano a essere vitali grazie all’intensificarsi degli scambi commerciali.
Nel secolo dei Lumi nasce la moderna ingegneria stradale con l’Ecole nationale des Ponts et Chaussées del 1747, caposaldo per la formazione dei progettisti e costruttori del successivo periodo napoleonico. Ulteriori progressi furono compiuti a metà Ottocento. Con la rivoluzione industriale, l’intensità del transito e i carichi elevati dei carri da trasporto mettevano in crisi la sussistenza stessa dei piani viabili, dissestando profondamente la rete viaria. Da qui, l’avvio per la prima volta di una vera e propria politica dei lavori pubblici funzionali alla realizzazione di grandi opere d’infrastruttura. I principali lavori furono compiuti nel Centro-Nord dell’Italia, come la ricostruzione dell’Aurelia costiera da Livorno a Roma. Mentre, statica rimase la situazione del Mezzogiorno, dove i Borbone prediligevano l’area attorno a Napoli, incrementando soltanto le strade attorno alla capitale.
Se, agli inizi del Novecento ancora l’articolazione della rete viaria non era molto cambiata dall’epoca degli antichi romani, anche se si erano fatte molte opere per rinforzare la pavimentazione, è anche vero che il progresso tecnologico inizia a dare i suoi primi frutti, grazie all’applicazione di moderni strumenti al fine della semplificazione e automazione dei lavori di costruzione e manutenzione delle strade. Progressi che alimentarono le idee di un genio dell’imprenditoria stradale e industriale italiana, Piero Puricelli, l’inventore delle autostrade: strade senza incroci a raso, destinate al traffico veloce e riservate solo a veicoli a motore, con il pagamento di un pedaggio per coprire le spese di manutenzione e gestione. È questo il grande e avveniristico (visto l’esiguo numero di macchine presenti all’epoca) progetto di Puricelli, cui seguì la nascita della Società Anonima Autostrade, che può essere annoverata tra i primi atti amministrativi del nuovo governo Mussolini.
Indiscutibile è dunque il primato dell’Italia in questo settore, come testimonia il fatto che in molte lingue europee, per indicare le autostrade, si usano ancora oggi termini che altro non erano che una trasposizione esatta della parola italiana: dalla Autobahn tedesca alla Autoroute francese, fino alla Autopista spagnola.
Negli stessi anni di nascita dell’autostrada, solcava le desolate terre dell’America da Chicago a San Francisco, la famosa Route 66, una delle prime highway federali statunitensi, ma non una vera e propria autostrada. In realtà non si trattava solo di una semplice strada. Era, ed è tutt’oggi, un’ideale, un percorso metafisico di ricerca interiore per essere migliori che animava lo spirito di molte famiglie rurali nella ricerca di nuove opportunità di lavoro. Condizioni di vita che sono ben descritte con straordinario realismo in Furore, capolavoro dello scrittore californiano John Steinbeck: “soprusi, vessazioni e povertà per raggiungere il sogno di una vita migliore nell’America stremata dalla grande depressione”.
In tal modo, le strade diventano anche metafora per conoscere sé stessi e parlare di sé stessi. A ricordarcelo è anche il celebre film Il Sorpasso di Dino Riso riconosciuto capolavoro della commedia all’italiana dove viene tratteggiata con tinte agrodolci l’Italia del boom economico, e la strada diviene metafora della vita.
Così, le antiche vestige delle Strade romane, nate come strumento di espansione politica e poi mezzo di sviluppo economico, riescono a mostrare anche una loro capacità narrativa, suscitando emozioni “con un ritmo fluente di vita nel cuore” invitandoci come ci suggeriscono Mogol e Battisti “con coraggio gentilmente, gentilmente dolcemente a viaggiare”.