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Islam e donne, resistenza locale e pregiudizi globali

Una realtà articolata e legata alla complessità delle influenze sociali, storiche e politiche


Quando si parla della condizione femminile nei paesi islamici, spesso emergono pregiudizi che, da un lato, normalizzano una subordinazione di genere in virtù di dinamiche religiose e, dall’altro, stigmatizzano la religione in sé. La realtà sembra molto più articolata e legata alla complessità delle influenze sociali, storiche e politiche.
Intanto, l’Islam, nelle sue fonti primarie, riconosce formalmente una considerazione spirituale e morale importante alle donne. In teoria, la religione islamica stabilisce un principio di uguaglianza e rispetto reciproco tra uomini e donne, suggerendo la possibilità di un equilibrio sociale fondato sulla giustizia. Nella pratica, tuttavia, questi principi vengono spesso reinterpretati o mediati attraverso tradizioni culturali, norme patriarcali e politiche locali che, nei fatti, limitano fortemente l’autonomia femminile. In molti contesti, leggi e prassi discriminatorie vengono giustificate come parte della “tradizione religiosa” o della “morale culturale”, consolidando gerarchie di genere e riducendo le opportunità per le donne di partecipare pienamente alla vita pubblica e privata.
La condizione delle donne islamiche varia anche considerevolmente a seconda delle dinamiche politiche locali, creando un continuo confronto tra tradizione e modernità che influenza lo status femminile. La situazione femminile in Siria, ad esempio, è stata segnata da decenni di gravi violazioni dei diritti umani, prima e durante la guerra civile scoppiata nel 2011. Già prima del conflitto, le donne vivevano sotto un regime autoritario che ne limitava fortemente le libertà individuali, relegandole principalmente ai ruoli domestici. Con lo scoppio della guerra, la situazione è ulteriormente peggiorata. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, il conflitto ha compromesso gravemente l’accesso delle donne all’istruzione, ai servizi sanitari e alla sicurezza alimentare, aumentando la loro esposizione a violenze sessuali, sfruttamento e matrimoni forzati. Le donne, in molti contesti, sono diventate particolarmente vulnerabili a traffico e abusi, e l’insicurezza quotidiana ha limitato ulteriormente la loro libertà di movimento.
Del resto, le leggi siriane, seppur formalmente esistenti, si riflettono in una partecipazione femminile marginale nella vita pubblica e politica, con scarsa rappresentanza nei processi decisionali e nei meccanismi di governance.
Complessivamente, la condizione femminile in Siria riflette l’intersezione tra conflitto, patriarcato e discriminazione legale, in un contesto in cui i diritti femminili sono stati erosi (prima) da decenni di autoritarismo e (poi) ulteriormente minacciati dalla guerra.
Nonostante queste difficoltà, negli ultimi anni, alcune donne hanno avuto accesso all’istruzione e hanno potuto ricoprire incarichi pubblici, sfidando le restrizioni imposte sia dal regime che dalle forze ribelli. Oggi, organizzazioni femminili locali e gruppi di advocacy stanno lavorando per includere le donne nei processi di giustizia transizionale e nelle riforme costituzionali, cercando di assicurare che le loro esigenze siano parte integrante della ricostruzione del paese.
Sebbene questi sforzi si scontrino ancora con ostacoli significativi, la resistenza delle donne costituisce un elemento di speranza importante. Anche nei paesi dove esistono maggiori spazi di libertà, la realtà quotidiana mostra spesso limiti significativi. In alcuni casi, la parità formale esiste sulla carta, ma nella pratica le donne continuano a confrontarsi con ostacoli strutturali.
L’Iran, ad esempio, sembra caratterizzato da un forte dualismo tra istruzione e partecipazione femminile e restrizioni sociali. Il Paese vanta infatti uno dei tassi di alfabetizzazione femminile più alti al mondo, con una forte rappresentanza delle giovani donne nelle discipline STEM. Molte iraniane lavorano, ricoprono ruoli professionali di rilievo e partecipano attivamente alla vita sociale ed economica del Paese. Tuttavia, questo progresso educativo e professionale coesiste con gravi limitazioni dei diritti e delle libertà individuali. Anche qui, le donne devono osservare un rigido codice comportamentale, e chi lo contesta rischia arresti, abusi e, in casi estremi, la vita stessa.
Il caso più emblematico è forse quello di Mahsa Amini, la giovane donna curda che, il 16 settembre 2022, fu fermata dalla polizia per un presunto uso “inappropriato” del velo e morì mentre era in custodia. La sua morte scatenò proteste su scala nazionale e diede origine al movimento “Donna, Vita, Libertà”, diventato poi simbolo di resistenza contro il regime teocratico.
Le manifestazioni, in quell’occasione, hanno evidenziato quanto profondamente radicato fosse il desiderio di autodeterminazione femminile e la volontà di rivendicare diritti fondamentali, nonostante la repressione violenta. Negli anni successivi, il movimento femminista iraniano ha continuato a guadagnare visibilità, sia all’interno del Paese che a livello internazionale.
Sempre più donne oggi si mostrano senza hijab in pubblico, sfidando apertamente le norme imposte, e molte organizzazioni e attiviste cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica globale sui diritti delle donne iraniane. La repressione continua, ma la persistenza di queste azioni di protesta dimostra che la condizione femminile in Iran non può essere ridotta a un’unica lettura.
Se quindi, da un lato, l’immagine della donna araba in Occidente è spesso caricata di stereotipi e pregiudizi legati all’“islamofobia”, dall’altro non si può ignorare come l’appello strumentale a canoni religiosi sia stato talvolta utilizzato per giustificare soprusi e limitazioni ai diritti delle donne. Spesso, infatti, e anche in occidente, i diritti delle donne vengono messi in discussione in nome di un fuorviante “relativismo culturale”, che rischia di legittimare discriminazioni sotto l’apparenza del rispetto delle tradizioni.
È quindi fondamentale ribadire il valore universale dei diritti umani, indipendentemente dal rispetto della religione, dalla cultura o dal contesto geografico, sottolineando come la dignità e la libertà siano principi imprescindibili ovunque.

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