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Giustizia, salvare la riforma da sé stessa

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Con un articolo di notevole intelligenza pubblicato sul “Il Dubbio” di ieri, Alberto Cisterna alza il livello del dibattito sulla riforma Nordio, ponendo una serie di interrogativi penetranti sulla coerenza del testo che il Parlamento si accinge ad approvare (ormai senza possibilità di emendamenti) in seconda lettura, e ipotizzando, addirittura, che il Capo dello Stato, a causa di tali incoerenze, possa, anziché promulgare la legge, rinviarla alle Camere chiedendo una nuova deliberazione. Il tema sullo sfondo è quello della conservazione del principio della separazione dei poteri e del mantenimento di efficaci pesi e contrappesi tra di essi.

Nello specifico, l’autore sottolinea quelle che ritiene due anomalie: da una parte, la creazione di un nuovo e insidioso potere dello Stato, il Csm dei pubblici ministeri, elevato in Costituzione al medesimo livello dell’altro Csm, quello che dovrebbe occuparsi solo dei giudici; dall’altra parte, l’attribuzione al Presidente della Repubblica della funzione di presiedere anche questo nuovo organo di governo autonomo dei magistrati inquirenti, ciò che comporterebbe l’incoerente attribuzione al Capo dello Stato, rappresentante dell’unità nazionale, di un ruolo di tutela di una semplice parte processuale (quale è il pm), considerando, inoltre, che la riforma non concede un’analoga posizione costituzionalmente rilevante all’avvocatura, garante del diritto di difesa dei cittadini.

Sul primo aspetto, la posizione di Cisterna raggiunge quella di coloro che, pur assai favorevoli alla separazione delle carriere, osservano come la istituzione dei due Csm comporti una sorta di omologazione tra giudici e pubblici ministeri, che va ben oltre quanto previsto dalla stessa Costituzione del 1948 (ad esempio Ennio Amodio, “Il Dubbio”, 10 maggio 2024; io stesso sul sito dell’Associazione italiana dei costituzionalisti). La riforma Nordio, in sostanza, farebbe entrare in funzione un “ascensore istituzionale”, che porta i magistrati dell’accusa allo stesso piano dei giudici e li incorona come se fossero i privilegiati compagni del percorso processuale di chi ha il compito di pronunciare la sentenza.

In effetti, un Csm composto, come nel progetto Nordio, per due terzi da pubblici ministeri (e per un terzo da “laici”) consacra la funzione d’accusa al più alto livello istituzionale, in una parificazione di elevato livello simbolico. La separazione sarebbe così ampiamente compensata da questa gratificazione costituzionale. E gli assertori più consapevoli della separazione si troverebbero a maneggiare una inquietante “Prokuratura”, collocata in Costituzione, autoreferenziale e irresponsabile; e a fronteggiare, anche sul piano della giustizia costituzionale, la nascita di un nuovo potere dello Stato, pronto a entrare in conflitto con gli altri poteri, ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione.

Che fare, dunque, su questo primo punto? Come salvare la separazione delle carriere, cioè la meritoria creazione di due distinte organizzazioni burocratico-amministrative, senza correre il rischio dell’eterogenesi dei fini, quello, cioè, di rafforzare incoerentemente un inquietante potere d’accusa nel nostro ordinamento? Io credo valga la pena insistere fin d’ora su aspetti che il disegno di legge di revisione non considera e saranno perciò affidati alle leggi ordinarie di attuazione. In primo luogo, vien da pensare alla dimensione dei due Consigli. Impensabile che il Csm dei pubblici ministeri abbia la stessa consistenza numerica (anche sul piano della dotazione di personale) di quello dei giudici, considerando la differenza quantitativa delle rispettive platee di riferimento. Ma, soprattutto, sarà (arduo) compito della legge ordinaria evitare che il Csm dei pubblici ministeri diventi, dall’alto della sua isolata posizione costituzionale, “gestore” unico delle decisioni in tema di esercizio dell’azione penale.

Ad esempio, il Parlamento ha voluto compiere passi (per vero, finora incerti) per appropriarsi delle scelte in tema di criteri di priorità nell’esercizio (pur sempre obbligatorio) dell’azione penale. Ma sappiamo che, ciononostante e in conformità ad una tendenza ormai risalente, il Csm attuale non si è affatto astenuto dall’intervenire sul punto. Ora, se la legge ordinaria non porrà paletti in materia, non è difficile prevedere che questo ambito rischia di diventare il core business del Csm della magistratura inquirente, con il che l’eterogenesi dei fini, prima paventata, sarebbe compiuta. Alla legge ordinaria, quindi, il compito di definire con nettezza il confine tra compiti di gestione amministrativa della carriera e decisioni di rilievo politico, quali quelle in tema di esercizio dell’azione penale, da riservare alla rappresentanza politica.

Sul secondo aspetto sollevato da Cisterna, relativo all’incoerenza di affidare al Presidente della Repubblica, rappresentante dell’unità nazionale, il compito di presiedere un organo costituzionale che governa la carriera di una parte processuale (il pm), osserverei che può essere una questione di prospettiva e di interpretazione. Bisogna, cioè, trovare una coerente spiegazione alla circostanza per cui la Costituzione non consente al Csm dei pm di scegliersi il presidente, ma attribuisce direttamente quella presidenza proprio a un potere esterno forte e autorevole, quale è, secondo la nostra Costituzione, il Capo dello Stato. Ebbene, direi che questa scelta può leggersi come volontà di attribuire a quel potere il compito non solo e non tanto di “assecondare” e di “garantire” il nuovo Csm, ma, piuttosto, di guidarlo e di contenerne gli eventuali eccessi, e la eventuale volontà di allargare le proprie funzioni oltre a quelle testualmente previste. Sotto la guida e il controllo del Capo dello Stato, insomma, il Csm degli inquirenti dovrebbe restare un organo di alta amministrazione della carriera dei pm, senza degenerare a “parlamentino” che fornisce alle procure le linee di indirizzo della politica giudiziaria.

Considerando questi complessivi punti di vista, potrebbe allora sembrare eccessivo l’alert lanciato da Cisterna circa un possibile rinvio da parte del Capo dello Stato alle camere del progetto Nordio, con richiesta di una nuova deliberazione, ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione. Per non dire di quanto sia delicato immaginare che il Capo dello Stato voglia utilizzare il potere di rinvio, ormai quasi in disuso, proprio con riferimento a un progetto di revisione costituzionale, impedendo o ritardando l’eventuale referendum popolare ed esponendosi, comunque, all’obbligo di promulgazione qualora le Camere ritenessero, in un inedito conflitto istituzionale, di riapprovare la legge.

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